7. La pittura non è analitica.

I pittori spesso rifiutano la realtà per partito preso e si rifugiano nel sogno, nel segno e nello schematismo. Si innamorano di una forma senza senso e la riproducono allo sfinimento. Perché hanno trovato una formula semplice e ripetibile che gli permette di essere riconosciuti senza fare fatica. A cosa serve lo sforzo di copiare la realtà nella sua complessità, che ogni giorno ci offre un nuovo volto, quando con sei linee posso abbozzare una chitarra cubista? In fin dei conti è poi vero che spetta a noi il compito di salvare l'arte, oppure ci possiamo attaccare al tram (take the train A)? Siamo sicuri invece che, nonostante ogni sforzo che compiamo, non siamo proprio noi ad affossarla l'arte, noi che andiamo salvati e magari al contrario è l'arte che ci può salvare? Così, il “pittore imbianchino“ (definizione credo coniata dal prof. Stefano Zecchi) diventa l'autentica star del mondo sclerotico, perché finalmente è libero dalle costrizioni dell'accademia e senza accorgersi dopo qualche anno diviene lui stesso l'accademia. Non è dato di sapere fino a quando ci sarà la possibilità di costruire sempre nuovi musei per ospitare le fragili opere dei contemporanei. Installazioni precarie, collage di cartoncini e materiali non adatti a resistere nel tempo, opere acrome che hanno bisogno di continui restauri e ridipinture. Fino all'eccesso in cui nel museo l'unica opera veramente artistica è l'architettura del museo stesso. (Questa in corsivo è la sintesi del pensiero di Jean Clair - che fra le altre cose è stato anche curatore della Biennale di Venezia - nella sua “critica della modernità”). Tuttavia è palese come oggi sia inattuale parlare di “opere degenerate”. Il ruolo delle “opere sperimentali” in effetti deve essere ben chiaro a qualsiasi critico ed è un ruolo importante. Il mio pensiero è che non vada tolto spazio a questo tipo di manifestazioni artistiche, magari non analitiche” o più concettuali. Perché esse ci danno la misura di come il fare dell'artista debba sempre essere libero. Libero soprattutto di essere anche leggero anziché classico. Poiché esistono molti gradi di leggerezza e di classicità ed è impossibile pensare di fare una selezione utilizzando questo esclusivo parametro. Qual è il confine, e chi decide? Perfino il pittore più tradizionale non si può più permettere di fare il bacchettone nei riguardi degli artisti dell'avanguardia contemporanea o storica, se non vuole andare incontro alla sua stessa esclusione dal circuito dell'arte. Poiché perfino le opere più classiche, in realtà, sono beni del tutto effimeri, di cui una società essenziale e iconoclasta potrebbe teoricamente fare a meno. Nonostante esse rappresentino la matrice della nostra identità culturale. Nemmeno la Vergine delle rocce è un'opera realista, casomai è surrealista. Quanto sono differenti, nella sostanza, gli schizzi di Tiepolo e i quadri di Treccani? Quanto è perfetta l'anatomia manierista di Michelangelo nel “giudizio universale”? Quanto è solo abbozzata nella “pietà Rondanini”? Ecc...

Quello che al limite si può ben dire è che sappiamo tutti come l'arte con un valore più assoluto è quella che tende alla rappresentazione perfetta. Cioè, ottenuta con maggiore impegno e perizia e con mano veramente felice. Un'arte riposata. Non parlo solo del grande stile antico ma anche del surrealismo di un Magritte, di molta pittura del '800, del precisionismo e dell'iperrealismo. Mentre le opere più grossolane, rapide e sintetizzate tendono a definirsi come opere minori, bozze, 50

guazzetti o progetti. Che abbondano nei contemporanei. Possono comunque comunicarci moltissimo e, al di là della resa stilistica, avere un grande senso di significato dal punto di vista storico o poetico. Pensiamo alla metafisica. Senza però suggerirci quella grandiosità che a volte anche un piccolo quadro di Leonardo manifesta da subito con prepotenza. Ciò non di meno la meticolosità può essere benissimo ottenuta anche per mezzo della libertà, come si evince dallo svolazzo barocco fino alla grazia leggera di un Boldini o dalla scomposizione cromatica di un Rembrandt. Via via scemando attraverso la sintesi cromatica dell'impressionismo e Van Gogh in cui appare già una profonda stanchezza. Per poi abbracciare il cubismo, il surrealismo astratto e il geometrico. Fino a tutta l'arte stracca (dal veneto: stanca; derivato da straccia, straccio), che è già “la fuga del cavallo morto”. In cui pare che il pittore faticasse anche solo a muovere la mano per fare un segno. Quindi Francesca, se vuoi fare della buona pittura, non essere mai pigra. Riposati il giusto e quando operi non ti risparmiare.

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