5. La vendita delle opere.

Vendere è una necessità reale. Tante volte si pensa che gli artisti vivano di aria. Per molti anni io ho regalato praticamente tutti i quadri che dipingevo. È abbastanza normale all'inizio. Dato che ricevevo a mia volta regali da parenti ed amici e non avendo quasi mai soldi a disposizione, la pittura mi permetteva di sdebitarmi e fare il brillante. Quando mi chiedevano il quadro inoltre non potevo dire di no. Spesso il volume d'affari rimane sempre davvero irrisorio per tutta la vita. Il pittore, per guadagnarsi la fiducia dei collezionisti, deve potersi definire comunque un professionista. Cosa che teoricamente si potrebbe fare solo se si ha una partita Iva. Anche per potersi fare un minimo di pubblicità, magari con un sito su internet. Quindi, un pittore è un professionista quando produce opere di un certo livello. Si sa che Van Gogh ha venduto solo un quadro al fratello. Vuoi dire che era un dilettante? Anche quando ti può capitare di diventare un pittore riconosciuto e vedere salire alle stelle il valore delle tue opere. I vantaggi non sempre sono reali. Perché magari impieghi molto tempo a produrre i quadri e non riesci in ogni caso a vendere in modo continuativo.

Per meri motivi economici succede che gli artisti che ci tengono ad essere professionisti a tutti gli effetti si dedicano ad una pittura sempre più commerciale. Rapida da eseguire, facile da vendere ed economica da realizzare. Pur sapendo che quello che stanno producendo ha un valore relativo rispetto a ciò che la pittura ha prodotto nei secoli passati. In quel caso, visto che vendono, hanno l'obbligo di versare i contributi. Altrimenti succede che quando un pittore muore, lo stato finalmente si accorge che è esistito. Non fosse altro perché improvvisamente gli risulta che ha prodotto migliaia di opere, che ha venduto, su cui non ha mai pagato le tasse. Allora, se i conti proprio non tornano, ci penseranno gli eredi a compensare, in accordo con il fisco, magari tramite la donazione di opere.

Basta pensare che Picasso, che è stato un pittore fortunatissimo. Che ha guadagnato molto. Ha avuto successo in vita ed è diventato ricco. Quando è morto ha lasciato agli eredi, insieme col suo patrimonio consistente anche in molte tele di sua proprietà, gli ingenti debiti verso lo stato. Per cui il governo ha dovuto disporre perché fossero catalogate tutte le sue opere ed i figli hanno dovuto donare migliaia quadri del padre allo stato, che ha finito per fondare un museo. Siamo dunque all'assurdo! Se avesse pagato sempre le tasse (cosa che evidentemente in qualche modo gli fu impossibile), non ci sarebbe il suo museo e forse le opere non sarebbero mai state catalogate, non esisterebbe una fondazione, le quotazioni non sarebbero andate alle stelle e in breve nessuno saprebbe nemmeno più chi era. Esagero.

Con questo non intendo assolutamente contestare il fatto giusto che vadano pagate le tasse. Tutt'altro. Andrebbe fatto volentieri. Solo che è inutile porsi anche questo problema se non si supera nemmeno il reddito imponibile minimo. Ritengo giusto che esista una soglia economica al di sotto della quale si è dispensati da questo dovere. Trovo che sia un presidio democratico; chi più ha più da. I pittori famosi spesso hanno lasciato molte testimonianze scritte delle compravendite, delle donazioni e le famose corrispondenze, ecc. Invece tu magari fai una ricevuta ogni tanto. però in effetti non la ritieni una cosa strettamente necessaria per diventare artisti riconosciuti. Eppure una traccia andrebbe tenuta, dovrebbe essere così. Non lo so, un quaderno. Dove tenere anche gli articoli di giornale.

Per concludere questo capitoletto in modo più utile, vorrei suggerire agli artisti di impiegare un semplice metodo per determinare i prezzi delle opere. Noto come il metodo della chiave o del coefficiente. In cui la chiave è un numero. È un sistema molto usato in Germania e introdotto in Italia da Enzo Cannaviello. Stabilito un coefficiente della quotazione, ad esempio 6.1. Non bisogna fare altro che moltiplicarlo per la somma di base e altezza della tela in centimetri. Per esempio nel caso di un quadro 50x70, si fa: 6.1(50+70)=732€. È importante sommare base e altezza e non moltiplicarle, perché in questo modo il rapporto sarà proporzionalmente maggiore per le opere piccole e minore per quelle grandi, dato che spesso nei quadri piccoli c'è più lavoro che in quelli grandi, che obiettivamente non possono superare delle cifre più di tanto elevate.

Una volta che un'opera è venduta il pittore ha il diritto di chiederla in prestito all'acquirente per esporla o fotografarla. Nel caso in cui l'opera viene rimessa in vendita, teoricamente, l'autore conserva il diritto di prelazione.

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